«C’è un modo in cui lo spazio del corpo e il modo in cui il corpo ci pone al di fuori di noi stessi e al fianco di noi stessi si aprono a un altro tipo di aspirazione normativa nell’ambito della politica? 

Il corpo implica mortalità, vulnerabilità, azione: la pelle e la carne ci espongono allo sguardo degli altri, ma anche al contatto e alla violenza, e i corpi ci espongono al rischio di diventare agency e strumento di tutto ciò. Possiamo combattere per i diritti dei nostri corpi, ma gli stessi corpi per i quali combattiamo non sono quasi mai solo nostri. Il corpo ha una sua imprescindibile dimensione pubblica. Il mio corpo, socialmente strutturato nella sfera pubblica, è e non è mio».

«Is there a way in which the place of the body, and the way in which it disposes us outside ourselves or sets us beside ourselves, opens up another kind of normative aspiration within the field of politics?

The body implies mortality, vulnerability, agency: the skin and the flesh expose us to the gaze of others, but also to touch, and to violence, and bodies put us at risk of becoming the agency and instrument of all these as well. Although we struggle for rights over our own bodies, the very bodies for which we struggle are not quite ever only our own. The body has its invariably public dimension. Constituted as a social phenomenon in the public sphere, my body is and is not mine».

Judith Butler - Vite Precarie / Precarious life

«Considerare gli esseri in quanto “incarnati” è problematico solo quando i viventi vengono presi in considerazione essenzialmente dal punto di vista dei propri corpi. In altri termini, quando esseri coscienti e attivi che possiedono punti di vista, interessi e progetti – in una parola, soggetti – vengono ridotti entro la mera cornice biologica che ospita la fonte di tale attività – rendendoli oggetti – è distruttivo per quegli esseri. Questa inferiorizzazione viene spesso utilizzata per giustificare trattamenti orrendi.

Fenomeni come la schiavitù, la sperimentazione sugli umani, i campi di schiavitù sessuale, le esibizioni di esseri umani nei giardini zoologici ecc. sono diventati possibili perché tali esseri sono stati considerati esclusivamente come corpi. 

Allo stesso modo, la macellazione dei non-umani per la produzione di carne, la grave manipolazione delle capacità riproduttive non-umane per produrre latte e uova, la sperimentazione scientifica e la prigionia inflitta ai non-umani negli zoo ecc. sono rese possibili dall’idea fasulla che questi esseri siano da considerare come meri corpi.

È evidente che, se vogliamo davvero lanciare un’accusa contro la supremazia bianca, il razzismo e la colonialità (comunque la si voglia definire), dobbiamo fare lo stesso con l’eterna e indiscussa visione che indica l’“animale” come opposto all’“umano”. 

Credo che il lavoro antirazzista richieda una liberazione che inizialmente non ci saremmo aspettati: la liberazione dal dualismo umano-animale e, di conseguenza, la volontà di recidere la connessione tra “animalità” e “irrilevanza”».

«I'm not trying to pull any philosophical lingo on you by using the term bodied. I don't mean to say there is something problematic about our having bodies. Understanding beings as “bodied” becomes a problem when beings are viewed primarily in terms of their bodies. That is, reducing conscious, active beings with viewpoints, interests, and/or projects—subjects—into merely the biological frame that houses the source of this activity—objects—is destructive to those beings. Time after time, this type of reduction is used to justify horrendous treatment.

The phenomena of slavery, human experimentation, sex camps, human exhibits in zoos, etc., were made possible by interpreting these beings as primarily bodied. 

And the phenomena of slaughtering nonhumans for meat, the gross manipulation of female nonhuman reproductive capacities for dairy and egg production, scientific experimentation on nonhumans, the incarceration of nonhumans in zoos, etc., are also made possible by pretending these beings are best understood as merely bodied.

It is clear to me that if we truly want to take white supremacy, racism, coloniality (however one wants to talk about it) to task, then we need to do the same to the continuing, uncontroversial view that “the animal” is the opposite status-marker to “the human.” As long as these notions of “the animal” and “the human” are intact, white supremacy remains intact.

I've tried to make the case that anti-racist work will require a liberation that we may not have initially expected: liberation from the human–animal divide, and, as a result, severing the connection between “animality” and “non-status”».

Aph Ko e Syl Ko - Afro-ismo / Afro-ism

«All’inizio dell’impresa coloniale stava il principio di separazione. In larga misura la colonizzazione consisteva in un’opera costante di separazione – da una parte il mio corpo vivente e dell’altra tutti quei corpi-cose che gli stanno intorno; da una parte la mia carne d’uomo per la quale esistono per me tutte quelle altre carni-cose e carni da macello; da una parte me, struttura senza paragoni e punto zero di orientamento del mondo, e dall’altra gli altri, con i quali non posso mai fondermi, che posso ricondurre a me, ma con i quali non potrò mai avere veri rapporti di reciprocità e di mutuo coinvolgimento».

«The principle of separation lay at the root of the colonial project. Colonialism had to a large extent consisted in a constant effort to separate: on one side, my living body; on the other, all those ‘body-things’ surrounding it – with my human flesh as the fundamental locus through which all other exterior ‘flesh-things’ and ‘flesh-meats’ exist for me. On one side, therefore, is me – the basic nexus and source of orientation in the world – while, on the other, are the others with whom, however, I can never completely fuse – others with whom I may relate, yet never genuinely engage in relations of reciprocity or mutual implication».

Achille Mbembe - Nanorazzismo / Society of enmity