Kappa: tute nere, colletti bianchi e magliette strappate
linee criminali del fumetto popolare, d’autore e underground
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“La nostra storia è cominciata andando a prendere con la forza le cose che ci spettavano.” (G.)
(da Andare ai resti di Emilio Quadrelli)
Le storie a fumetti degli anni Sessanta cominciano con una guerra alla città, allo scorrere quotidiano delle cose si contrappone una guerra di desideri, rivolte, passioni. E di rapine. Quest’onda di desiderio di un’avanguardia cinica e disincantata, che si prende quello che vuole, apre narrazioni irregolari scorrette e influenzali, di quelle che poi fanno parlare tutti i pendolari nei treni la mattina, prima di andare al lavoro.
A tutti gli istituti di credito. Oggetto: rapine bancarie.
Da tempo il nostro gruppo lavora con tanta soddisfazione nel settore. Al nostro arrivo dovete consegnare un milione per ogni impiegato. Vi concediamo trenta secondi, scaduti i quali cominciamo a sparare. Ricordo che possiamo agire quando e dove vogliamo e l’abbiamo dimostrato con l’operazione tris a Milano…
Vogliate osservare questo documento con la dovuta serietà.
Distinti saluti,
Anonima Rapinatori.
Con l’umorismo nero di queste parole l’Anonima Rapinatori, banda armata di ispirazione comunista, ritratta nel film Banditi a Milano di Carlo Lizzani, reclamava denaro gratis. Un debutto sulla scena del crimine che avviene a Torino lunedì 8 aprile 1963, con un colpo all’agenzia n. 19 dell’Istituto San Paolo e il ragguardevole bottino di sei milioni di vecchie lire. Una volta catturati Pietro Cavallero, Sante Notarnicola, Adriano Rovoletto, avrebbero accolto la loro condanna cantando “Avanti, siam ribelli fieri vendicator d’un mondo di fratelli”. È solo la prima onda, in ritardo sulla resistenza e in anticipo sulle Brigate Rosse, che parte dal Nord, dove le gang giovanili della cintura metropolitana si organizzano in batterie, temibili gruppi di fuoco e di rapina cresciuti nei quartieri operai dentro una logica che non è più la stessa della vecchia mala da cui si distanziano come stile, tecniche e armi. Gente insomma che non si cura di accumulare il denaro che ricava, ma lo brucia consumandosi. Per poi in molti casi confluire in modi diversi nella lotta armata dei settanta che arriva.
Un poco prima di tutto questo, pochissimo prima, nel novembre 1962 in edicola prende il via una nuova collana di albi a fumetti. Basta una piccola cosa quando i grandi cambiamenti sono in vista, 12X17cm per esempio hanno rivoltato la storia del fumetto. Questa minuscola tascabile e inquieta apparizione sposterà per sempre il fluire del racconto disegnato italiano, fino a quel momento concentrato sull’avventura morale, con storie dell’epopea western e indipendentista americana. In questa atmosfera di conflitto latente e non, si innesta rapidamente tutto un filone noir e poi sexy ricco di eroi negativi con la K nel nome, la stessa che ritroveremo quindici anni più tardi sui muri delle città, impressa nel nome di Kossiga. È la stagione del fumetto kattivo di Diabolik il re del terrore, ideato da Angela Giussani, moglie dell’editore Gino Sansoni che decide una serie di fumetti dedicata proprio al consumo da treno, per un lettore avido di gialli omicidi ed emozioni assortite prima di un giorno di lavoro negli anni del boom. Pronto a ficcarsi in tasca l’albo economico e farlo sparire nel segreto di una giacca da lavoro.
Un rapporto famelico, personale e privato di clandestinità immaginaria che si riversa su di un prodotto sottoculturale, perfettamente calzante. Fondamentale al suo successo la struttura innovativa di due grandi vignette per pagina, a schermo fisso, filmica. Una costruzione della narrazione rapida e incalzante, molto vicina, anche se forse inconsapevolmente, alla sensibilità shock e coinvolgente del manga drammatico che in quegli stessi anni la scuola Gekiga dei disegnatori d’avanguardia andava proponendo in Giappone. La storia e il nome di questo eroe nero già aleggiavano: un romanzo di Italo Fasan di qualche anno prima aveva ispirato ad un inafferrabile assassino il nome Diabolic, cui il misterioso, e reale, criminale aveva aggiunto una esotica h finale, mentre ammazzava a colpi di trincetto da calzolaio un uomo a via Fontanesi, Torino. Steno da lì ebbe l’idea per un film con il meraviglioso Totò che interpretava sei personaggi contemporaneamente. Totò Diabolicus era nelle sale ad aprile ‘62; a novembre era in edicola il numero uno del fumetto, titolo: Diabolik Il Re del Terrore. Se è Fantomas l’iniziale personaggio di riferimento in seguito Diabolik prende spessore, affidato alle cure narrative di una squadra di autori: Pier Carpi, esoterista e teosofico, discusso amico di Licio Gelli e autore di molte produzioni a fumetti horror e alchemiche (ma anche di qualche Batman), il giovane Alfredo Castelli e poi Patricia Martinelli, Mario Gomboli. Qui si configura in chiave originale il mondo urbano e la kappa di cattiveria del personaggio.
Due anni di incubazione e nel 1964 Diabolik esplode e con questo tutta una interminabile serie di imitazioni, contraffazioni e derivazioni, che talvolta si spingevano anche più avanti del predecessore. Del ’64 sono Kriminal e Satanik (di Magnus & Bunker) cui fanno seguito le cover Zakimort (sempre di Carpi), Sadik, Killing (fotoromanzo, ndr), Demoniak, Kimba, Fantasm, Fantax, Genius, Jnfernal, Spettrus, e via kappando per un totale di oltre sessanta testate in Italia, molte delle quali sono immediatamente esportate e tradotte. Nel 1965 ogni quindici giorni si riversa in edicola un milione di copie di tascabili e il fenomeno, che trasversalmente raccoglie lettori clandestinamente appassionati, interessa ora i media e infine la magistratura milanese che, con una serie di sequestri, irreggimenta temi e pone sostanzialmente dei limiti morali. Secondo un dispositivo classico si innesca il meccanismo contraddittorio di un puntamento mediatico che contribuisce a rendere sempre più maledetti, seducenti, e redditizi, i noir disegnati.
Il dilagante fenomeno non può sfuggire alla major Mondadori/Disney che grazie ad Elisa Penna e Guido Martina produce il personaggio dark di Paperinik, alter-ego vendicatore del Paperino borghese con qualche cinica e criminale tendenza e ancora una volta Fantomas in controluce. Il concessionario europeo ne ferma le traduzioni e il personaggio non partecipa della globalizzazione Disney finché tutta questa ‘irregolarità’ non sarà disinnescata in chiave supereroista alla ‘Batman di Paperopoli’. Mentre il più affascinante irregolare irresponsabile e scorretto fra i personaggi comici che emergono come parodia dell’originale è il Cattivik di Bonvi, la macchia urbana che anticipa una generazione di marci sporchi e imbecilli, come li chiama Stewart Home, i punk che sono dietro l’angolo. Bonvi farà fruttare la sua esperienza comica nella sua produzione più famosa, di lì a poco tradotta e diffusa in Europa e nel mondo: Sturmtruppen, strisce antimilitariste che ridicolizzano l’esercito tedesco alle prese con la Seconda Guerra e che irrompono anche in pellicola. Tutto questo immaginario a fumetti deborda sugli schermi e predispone ai poliziotteschi che seguiranno, tanto cari a Quentin Tarantino: Kriminal (1966) di Umberto Lenzi e Il marchio di Kriminal (1967) di Fernando Cerchio, Satanik (1968) di Piero Vivarelli con aiuto regista il giovane Pupi Avati e Diabolik (1968) di Mario Bava. È quest’ultima la conversione del re del terrore in un film pop e ricco di suggestioni psichedeliche voluto da Dino De Laurentiis in una coproduzione italo-francese.
“Figure e storie in programmatico conflitto con un ordine sociale protervamente chiuso in se stesso. Essi lacerano trapanano gli interstizi di quell’ordine, talpe del disordine” come osserva Gino Frezza. Questi albi offrono un’occasione di sperimentazione che gli autori più avanzati non possono archiviare: è il caso di Kriminal e Satanik, che pure se emergono da questa diffusa editoria pocket fanno storia a parte. Scritti da Max Bunker e realizzati da Magnus (Luciano Secchi e Roberto Raviola), hanno una presa più politica e spingono, accanto ai temi del delitto, urgenze sociali e umane con uno spirito cinico inconfondibile. È un passaggio fondamentale nel fumetto italiano che da una finestra popolare apre i racconti, anche nel successivo Alan Ford (1969), di una Italia stracciona e clandestina, di agenti segreti e intrecci politici, capitalisti corrotti e scienziati deliranti, con una caratterizzazione grafica e una continua invenzione grafica che collegano il noir alla satira anticapitalista della grande illustrazione d’inizio novecento. Un percorso che porterà alle avventure e alle trame oscure, da Romanzo Criminale, di Unknow (1975) scritto per l’atipica Edifumetto di Renzo Barbieri, che dal formato tascabile consegna alla storia del fumetto italiano questa complessa prova d’autore, una stesura cruda, di realismo urbano e politico, e al poco venduto Compagnia della Forca (1977, ed. Geis e Edifumetto), grottesca metafora d’esilio di una banda armata in uno sfondo medievale brancaleonesco.
Renzo Barbieri, playboy e giornalista capace di “immortalare le notti brave dei ricchi, belli e famosi” una notte a Ginevra si imbatte nella versione francese del fotoromanzo Killing e decide di trasformare in fumetto pop la sua esperienza e apre nel 1966 le pubblicazioni della casa editrice Sessantasei, con la collaborazione di due esperti autori: alle sceneggiature si avvale delle trame di Giorgio Cavedon e del tratto di Sandro Angiolini per i disegni. In Aprile immediatamente le due serie d’esordio: Goldrake, ancora una K di clandestinità, e Isabella la Duchessa dei Diavoli. Debutta il fumetto erotico italiano in formato tascabile, primo di una lunga serie poi esportata e riprodotta in aree francofone, attraverso un percorso inverso a quello che aveva condotto le pubblicazioni erotiche francesi ad invadere clandestinamente lo Stato Pontificio, portando la forza libertaria e libertina della Rivoluzione a Roma. L’editore Max Canal è il primo a lanciare i tascabili, prima con una serie di fotoromanzi polizieschi e poi con le Éditions de Poche traduce Messalina e Goldrake.
Alcuni diritti non pagati scatenano la Erregi di Cavedon/Renzi, nuova veste della Sessantasei, che fonda Elvifrance (1970): è in questo modo che, grazie alla direzione e la cura di Georges Bielec, lasciato in completa autonomia creativa, prende il via la diffusione a ritmo continuo di tutta la sterminata produzione italiana in un panorama europeo. In breve la Elvipress colleziona il più alto record di censure, divieti e sequestri della storia del fumetto francese. Quando Barbieri fonda la Edifumetto nel 1972, il ritmo di uscita in edicola passa ad un fumetto al giorno, cinquantamila tavole l’anno, amplia con eclettica disinvoltura la base di lettori del nero e modifica profondamente la struttura stessa della produzione materiale di fumetti, inducendo lo sviluppo degli studi professionali.
Tutte queste serie di fumetti proibiti e di antieroi eccessivi tagliano le teste dei giovani lettori, innescano un processo produzione-consumo che porterà all’esplosione del più complesso e colto fenomeno delle riviste italiane negli anni a seguire. Le luci e le ombre morbose di questa nuova inquietudine a fumetti aprono la strada a letture diverse del senso stesso della narrazione per immagini stampate. È del sessantaquattro il saggio Apocalittici e Integrati di Umberto Eco. L’anno successivo a Bordighera si svolge la “Prima tavola rotonda internazionale sulla Stampa e i Fumetti”, il Salone Internazionale dei Comics: il primo del genere in Europa. Inizia così la stagione dei Festival e delle fiere, eventi di massa dedicati alle produzioni, agli artisti, alla critica, in breve alla produzione e consumo culturale del fumetto. Da qui prende le mosse il premio Yellow Kid di Lucca e la kermesse di Angouleme, che nel ’76 premierà Hugo Pratt.
È il 1965, la trasformazione entra in una fase radicalmente nuova. In Italia il primo testimone, e motore, di questa trasformazione è Linus, rivista di grande formato, fondata nella libreria Milano Libri da Giovanni Gandini che la dirigie con in redazione Oreste del Buono, Umberto Eco, Elio Vittorini. Il progetto punta lontano e diviene subito chiaro nel dialogo del primo numero tra Eco e Vittorini che pone Schulz e i Peanuts accanto e avanti a Salinger: il confronto con le molte immagini d’America sarà uno dei temi centrali della rivista, e si va a spingere il ragionamento intorno al fumetto verso una dimensione più complessa e politica che caratterizzerà sempre più la rivista. Linus impone per la prima volta un nuovo standard di rivista che interpreta il racconto per immagini come una forma di narrazione tout-court, capace di produrre letteratura d’autore per un pubblico borghese e snob, differenziato anche culturalmente rispetto a quello che le vie del nero avevano individuato. Un diverso segmento di rivolta immaginaria, armato di altri tempi e luoghi di lettura, altro il mondo di fumetto cui si fa riferimento, modello americano e fondamentalmente sviluppato nella struttura a strip della narrazione. Cresce così una generazione di lettori e critici che si dispongono a studiare il sistema fumetto, come struttura letteraria, che ne riconoscono la complessa gerarchia segnica e sintattica, nascosta in una griglia di finestre.
Dal secondo numero di Linus inizia il racconto grafico di Guido Crepax con Neutron – La curva di Lesmo, in cui appare Philip Rembrandt, alias Neutron, critico d’arte e investigatore, dallo sguardo paralizzatore. Anche lui in tuta nera, è capace di attraversare con disinvoltura i ragionamenti sulla Op-Art e le rapine newyorchesi. A Milano, Italia, la sua storia si unirà a quella di una fotografa, Valentina (Rosselli come i fratelli antifascisti), destinata a privarlo del ruolo di protagonista nella lunga serie di fumetti che li vedranno coinvolti. Borghese e contraddittoria, raffinata e snob è l’arte di Crepax che intreccia trame noir ed erotismo, tra esibizioni di corpi, oggetti di design e testi di letteratura mitteleuropea, musica e moda legati in un torbido e chiaroveggente intreccio da una struttura fortemente innovativa, fatta di tagli e attraversamenti grafici e narrativi. In Ciao Valentina, la terza storia pubblicata nell’ottobre 1966, previene di qualche mese Blow up di Antonioni, con un montaggio nouvelle vague della storia, che forse nasce dalle stesse influenze, da Cortazar, del film. Storie noir cerebrali, intricate dove è l’intreccio, ai limiti dell’auto-analisi, il motore del percorso narrativo, con una commistione di ruoli, piani narrativi e location.
Linus si moltiplica in numeri speciali e nuove linee più sperimentali, che sono altrettanti modelli di riviste, come Ali Baba curata da Oreste del Buono (1967) sulle strade tra letteratura e fumetto, o Ubu da Franco Quadri (1970), sulle controculture dello spettacolo. È modello seminale per molte altre riviste italiane e estere: a luglio ‘67 debutta Sgt. Kirk per prima con l’esordio di Corto Maltese di Una ballata del mare salato di Hugo Pratt, seguita a novembre da Eureka a cura di Luciano Secchi (Max Bunker) per la Corno e più avanti il Mago (1972) della Mondadori. In Francia intanto, sul modello di Linus, nasce Charlie «Journal plein d’humour et de bandes dessinées», fondato nel ’69: nel 1970 si sdoppia nel Charlie Hebdo e in questa forma satirica sopravvive ancora oggi. Quando Rizzoli la spunta sull’acquisizione della Milano Libri e cambia la direzione del mensile. Una linea più calata nel mutare delle cose, e più politica, interviene con la direzione di OdB: nasce la costola alterlinus (1974) che apre alle storie più lunghe e complesse e meno consumabili, e poco più tardi Linus stampa al suo interno l’inserto l’Uno (1976), un progetto editoriale che avrebbe dovuto essere un foglio settimanale ma che l’editore ritiene troppo libertario per essere prodotto autonomamente. L’Uno, ospitando tra altre le voci di Nanni Balestrini, Beppe Viola, Saverio Tutino, Giaime Pintor, Nico Orengo, Lea Vergine, Paolo Mereghetti, si configura come un vero e proprio giornale di informazione culturale e critica politica inserito provvisoriamente in una rivista di fumetti e si innesta perfettamente nel Movimento del ’77 che sta occupando l’Italia. Nasce così anche una generazione di riviste che da qui in avanti propone in Italia prima, ma poi in Francia e nel mondo, autori e storie sempre più complesse, sempre più connesse alla realtà, alle culture, ai linguaggi. Tra l’altro a partire dalle riviste underground da Mondo Beat a Re Nudo, da Puzz di Max Capa a Insekten Sekte e Fallo! di Matteo Guarnaccia, fino a Tampax di Giulio Tedeschi, si sviluppa contemporaneamente una linea sotterranea critica e completamente immersa nel flusso della stagione di formidabile rivolta che si apre, portandosi spesso appresso la kappa kriminale nella scrittura.
Tutto questo fa sì che la narrazione per immagini si posizioni in un’area di confine fra scrittura filmica e discorso diretto, fra letteratura orale e passione politica, fra romanzo e giornalismo. Il fumetto diventa da adulti nell’Italia degli anni sessanta tramite dunque due vie contrastanti, che solo pochi autori, e Magnus è certamente uno di questi pochi, riescono a percorrere in contemporanea: quella clandestina, umorale e underground segnata da censure e sequestri, che insinua nelle maglie della pornografia e del crimine i desideri di rivolta di una generazione, e quella autoriale, letteraria e critica. Per capire, e tagliando con l’accetta il ragionamento: Linus è la rivista di fronda che costeggia il movimento, l’underground interpreta e previene le trasformazioni in atto con sperimentazioni grafico-narrative, mentre gli editori porno restano fuori, borghesi geniali capaci di pescare nel torbido, accendendo la miccia pop del desiderio. Contraddizioni del laboratorio Italia, e così tra il coatto e il criminale, il popolare e il ricercato, il porno e la narrazione d’avanguardia il fumetto va, diretto ad esplodere nel caldo settantasette che arriva.
Nasce nel 1976 il CDNA Centro Diffusione Notizie Arbitrarie, per la riconquista del terreno comunicativo e dell’informazione anche attraverso depistaggi, copie pirata e falsi (dopo il situazionista Re Nudo 6 – colpo di mano del 1971). Un nuovo pubblico radicale e proto punk e che si ritrova a suo agio nelle narrazioni orali del fumetto trasforma una zona di autoproduzione in editoria di massa. È l’ala romana del movimento di controcultura beat l’agenzia di controinformazione Stampa Alternativa (1974), di Marcello Baraghini, quella che crea i cortocircuiti più ampi. A Stampa Alternativa fa riferimento il gruppo di post dada e surrealista di Zut (1976) che in Il movimento e il falso teorizza la costruzione delle false notizie, la «falsificazione del sistema informativo» (Angelo Pasquini e Piero Lo Sardo – Zut, dicembre 1976), come strumento di svelamento e rivolta (un’idea influenzata dallo scandaloso pamphlet a firma Censor, il Rapporto veridico sulle ultime opportunità di salvare il capitalismo in Italia, 1975, del situazionista Gianfranco Sanguineti). Zut si combina poi con il gruppo bolognese di A/traverso di Bifo ne (La) Rivoluzione. È qui che approda Stefano Tamburini formando poco dopo Cannibale (1977) che con Zut è il nucleo che si riverserà ne il Male (1978), devastando lo spazio dell’informazione grazie all’intervento di gruppi provenienti da varie altre formazioni e, sotto la guida di Vincino, produce un terremoto editoriale con centinaia di migliaia di copie vendute. È un giornale irridente, nichilista, politico e dadaista. Come ha detto Vincino: «Facevamo satira nell’accezione più alta, raccontando quello che sarebbe successo, intuendo la direzione del vento» (Il Male 1978-1982. I cinque anni che cambiarono la satira, 2007).
«Per fare grafica ci vogliono muscoli»: ora cerchiamo di capire di quali muscoli parlasse Stefano Tamburini quando scriveva questo slogan. Muscolo dell’occhio: allenato guizzante e instabile. Uno sguardo di traverso da coatto metropolitano, un’occhiata che taglia. Occhio muscoloso in movimento. Capace di traguardare le neotribù in rotta di collisione negli scenari urbani di fine settanta e nel ghiaccio secco e fumoso degli ottanta. Occhio ciclopico e collettivo Steve Tamburo attraversava con la sua presenza saettante le reti i movimenti e la terra di mezzo dell’underground. Vedeva lontano, costruiva connessioni e intersezioni che rivoltava sulle stampe e i ciclostilati in circolo veloce per i luoghi del movimento e le librerie del circuito libertario. Combinazioni, Stampa Alternativa, Hot Minestrone, Zut queste le produzioni magmatiche del primo periodo. Così mentre si destreggiava da grafico pimpante perlustrava i produttori di immaginario che avrebbero governato nel decennio successivo i sogni e le figure di una generazione.
Muscoli delle braccia: quelle rifiutate al lavoro sottoproletario, che invece incessanti ritagliavano, a suon di forbici e scotch e pere di vinavil, tracce e visioni di un linguaggio che debordava dalle strade, dalle università, da un mondo variegato di studelinquenti desideranti. Un linguaggio conflittuale e marginale capace di riformattare e produrre altri linguaggi in italic condensed, ovviamente Letraset e Rank Xerox. Braccia manipolanti, riconfiguranti, capaci di fare a pezzi una fotografia e ricomporla tra filetti di piombo pesante sulle pagine che immaginava. Braccia muscolose è ovvio, per portare a spasso una sbarba e il suo cuore o farsi largo con allegra incoscienza in una rissa ai margini della città. Verso quelle periferie solcate dal sessanta e dal cinquantasei notturno, pigneto-prenestino-centocelle, ancora rotte vitali nelle storie romane. In mezzo a Centocelle, al Forte Prenestino di Roma, occupato dal 1986 e da subito centro di produzione e sviluppo delle controculture urbane, i fumetti e tutti i tratti ribelli sono di casa. Dopo diversi ed episodici festival underground nel corso dei novanta, quando il Prof. Bad Trip era di casa, è qui che si svolge ora ogni anno (dal 2004) Crack!, festival di fumetti underground e indipendenti, serigrafati stampati e incisi. Un evento unico nel suo genere, il più partecipato del pianeta dagli artisti illegali, scorretti ed estremisti del segno, eredità contemporanea di tutta questa linea libertaria, art brut e situazionista della narrazione che vive in territori di conflitto.
Mucose del naso:
“Cannibale parte il maggio dello scorso anno (N° 3, maggio 1977, Roma ndr) con una fisionomia del tutto diversa dai fogli più o meno trasversali che giravano nel movimento del ’77: copertina a quattro colori, formato tipico delle riviste underground americane & dentro fumetti di strada, allucinati, disegnati ripensando in un bar a una situazione di due ore prima o con il fumo dei lacrimogeni ben presente nelle mucose del naso!”
E parte appunto dal numero tre edito da Stampa Alternativa, i primi due numeri erano datati 1920, fatti a Parigi, ed era un celebre foglio dadaista di cui ora, finalmente, qualcuno raccoglieva l’eredità (Tamburini assieme a Massimo Mattioli, geniale inventore del Pinky delle Edizioni Paoline e Marco “Trash” D’Alessandro). Ma è di un anno dopo, giugno settantotto, l’uscita di “Rank Xerox, il coatto!” primo episodio di una saga che ha segnato la storia del fumetto italiano e non, con i contributi fondativi di Andrea Pazienza, Tanino Liberatore e Filippo Scozzari.
Ranxerox è immediatamente pubblicato in Francia, Spagna, Germania, Olanda, America, Grecia, Finlandia, Svezia e Giappone, e questo solo nella prima metà degli anni ottanta. Nel 1983 esce il disco di Frank Zappa “The Man From Utopia” con un Ranx zappizzato in copertina, frutto di un progetto molto più ampio e poi abbandonato di un intero albo che doveva raccontare, tamburinizzate, le avventure del tour italiano. Curiosità: nel 1981 James Cameron è Roma per girare gli interni di Piranha II, produzione italiana, ha 27 anni e dovrebbe occuparsi solo degli effetti speciali. Quasi per caso promosso regista, durante le notti insonni di montaggio gli appare in sogno, dice, una visione robotica e cyberpunk per il film che lo renderà celebre nel 1984: The Terminator, ispirato da Second Variety di Dick (1953), e da Soldier From Tomorrow di Harlan Ellison (1957). Tamburini e Liberatore non ci hanno mai creduto, visto che probabilmente altrettanto immaginario deve proprio alla figura cyborg muscolosa del vecchio zio Ranx che in quegli anni è già celebre e diffuso in città e occhieggia da ogni edicola.
Nel novembre 1980 poi Tamburini apre Frigidaire, il superfluo indispensabile, la rivista coatta e di lusso che racconterà in diretta i frigidi anni ottanta, attraverso i segni del collettivo di autori già coinvolto in Cannibale, fortemente accomunati dai linguaggi e dalle esperienze di vita movimento musica e di droga, e le parole di Vincenzo Sparagna. Frigidaire è un container di informazione che moltiplica i linguaggi di riferimento del fumetto, mischiandone le sorti in maniera indissolubile con quelli delle sottoculture musicali e rendendo i conflitti metropolitani il registro della narrazione, secondo una attitudine al cut-up squisitamente punk. Merce pregiata, ma consapevolmente merce, oggetto e progetto di consumo atipico e totalmente irregolare. Come una colonna sonora, una truffa al rock’n’roll che guizza ancora una volta dal muscolo cerebrale di Stefano Tamburini, Frigidaire è la punta affilata di quella intelligenza ghiacciata dalla decade repressiva e normalizzante che incede. Immediati i rapporti con l’Europa, scambi e connessioni e anche un numero congiunto con El Vibora di Josep Maria Berenguer, con The Face di Neville Brody, e con Actuel, ETC, Mais, OOR, Tip, Wiener, il think tank underground più potente del segno e della parola degli ottanta. È fortissima l’attitudine al remix, al cut-up al mashup, a tutte le forme di copiaincolla culturale straniante che erano la carica eversiva del postmoderno italiano: Frigidaire attraversa letteratura fumetto gore punk porno new-wave e post politica con una leggerezza impossibile da riprodurre, componendo senza risolvere le contraddizioni del passaggio che abbiamo cercato di descrivere, in cui l’irruzione del conflitto e della marginalità culturale produce nuove forme di narrazione seminali, fondamentali ad aprire tutto il percorso autobiografico, e di giornalismo indipendente che ora è proprio del romanzo a fumetti.
Un monaco chiese a Ta-Sui: ”La conflagrazione alla fine di un eone si propaga e l’universo è interamente distrutto. Io mi chiedo: questo è distrutto o no?”
Sui disse: “È distrutto!”
E il monaco disse: “Se è così, allora procede con essa”.
Sui disse: ”Procede con essa!
Proprio così, e qualcuno potrà giustamente affermare che non è successo nulla!”
(da L’uomo che uccise Ernesto Che Guevara di Magnus)
nota: il testo è stato lievemente editato rispetto alla pubblicazione originale apparsa nel volume di Douglas Mortimer: "Quando tutto era possibile" (2013, manifestolibri), che a sua volta era una revisione di "Possibilmente freddi" (2006, Deriveapprodi).