autore: Valerio Bindi
Testo rilasciato in CREATIVE COMMONS [BY SA] e liberamente scaricabile. Ogni donazione all’associazione La Bagarre con cui organizzo molteplici attività è benvenuta.
Non c’è gusto in Italia ad essere intelligenti
(Freak Antoni)
NON C’È GUSTO IN ITALIA AD ESSERE INTELLIGENTI
Roma, 27 dicembre 1989: una pantera attraversa il raccordo anulare e svanisce. Esplode poco dopo, nel 1990, un movimento caratterizzato da una critica alla società dell’informazione, alla privatizzazione della formazione e, più in generale, della gestione della cultura. Si propaga occupando una facoltà dopo l’altra, spedendo fotocopie e fax invece che mail e tweet; aprendo una multimediale produzione di cultura radicale che sarà poi la stagione degli anni novanta dei centri sociali e della rete globale. Prefigura gli scenari di guerra dei media che si sarebbero presentati di lì a poco. Dalle città universitarie ai territori della metropoli, questo movimento apparentemente scompare come la pantera. In realtà è l’inizio del trasversale movimento dei movimenti diretto a percorrere i novanta e destinato ad affrontare finalmente la repressione più dura durante il G8 del 2001 a Genova. Anche nella Facoltà di Architettura Occupata di Valle Giulia partono fogli via fax, ma sono centinaia di vignette: i messaggi al movimento de i Graforibelli, ironici testimoni di una trasformazione più grande di loro. Le vignette partivano a raffica, riprodotte dai toner esausti delle facoltà o stampate a bassa risoluzione dalle vecchie e ombrose macchine dei fax. Sono state un potente fenomeno virale che ha veicolato i temi del movimento e i suoi linguaggi e sono state riprese in tempo reale dai principali media, costruendo un vero e proprio canale politico e indipendente di comunicazione.
CONTRACT ON THE WORLD LOVE JAM
È stato un fatto nuovo e importante: la produzione di cultura della pantera (video/scrittura/disegno) e tutto il lavoro fatto sulla comunicazione e il linguaggio diventano non una espressione organica di contenuti politici tradotti in altre forme, ma proprio un lavoro indipendente creativo (e antagonista) che esprime in sé il movimento. Ecco le aree tematiche di questa produzione grafica: il rapporto verso l’interno del movimento, il rapporto con la politica, il rapporto con le strutture del potere universitarie, il rapporto con la città. Queste vignette non appartengono al mondo della satira, sono invece una forma di autobiografia collettiva che precede il comic journalism e la graphic novel. Nei Graforibelli era vietata la caricatura dei politici, era vietato il culto della personalità che la caricatura esprimeva ed esprime, l’idea stessa del potere che attraverso la caricatura si diffonde. Il personaggio di maggior successo che ho mai disegnato era l’Occupazzo un antropomorfo flippato con il naso a punta inventato la notte prima dell’occupazione in una riunione fatta a lettere, un personaggio che tutti si stampavano su magliette e borse di carta (non esistevano le tote-bag) e di cui facemmo tutta una serie di storie che però nemmeno furono troppo diffuse, sempre cercando di sfuggire a qualsiasi forma di caratterizzazione/personalizzazione. Era chiaro che per restare in movimento non era possibile fermarsi, farsi rappresentare da qualunque cosa che fosse ripetizione. E quindi via anche l’Occupazzo e pace all’anima sua.
DON’T BELIEVE THE HYPE
Il movimento della pantera era essenzialmente un movimento di critica al linguaggio dei media. Era obiezione alla privatizzazione che gentrifica gli spazi della costruzione di cultura di pensiero e di alternativa per il futuro. Non avrebbe avuto senso personalizzare l’attacco che invece andava portato in termini di linguaggio e di critica dell’informazione. La smaterializzazione del nemico che negli anni settanta era stato fortemente individualizzato era un passo verso una nuova forma di narrazione politica, che stava costruendo un movimento che negli anni novanta si stacca da molti dei metodi degli anni precedenti. La terra di nessuno degli anni ottanta dove eravamo cresciuti era stata una carica di immaginario incredibile, una prefigurazione a tutti i livelli delle potenzialità che ci saremmo trovati a maneggiare di lì a poco. Quando si scavalca il crinale e si entra nei novanta la nostra generazione che aveva appena sfiorato il settantasette ed era affondata nelle sperimentazioni clandestine, e molto luccicanti, degli ottanta si trova ad avere voce e soprattutto pieno potere: potere nel manipolare le tecnologie i media e i nuovi linguaggi, plasmandoli prima di ogni altro. Usando tecnologia a basso costo come una zappa dal punto di vista della dirompenza, ma con competenza dello strumento, il movimento si conforma con forza e specificità incredibili per tutta la prima metà degli anni novanta. Abituati a guardare dove non guardava nessuno abbiamo continuato a cercare in luoghi imprevedibili e ci siamo distratti dal detenere quel potere. Non lo abbiamo voluto prendere. Abbiamo scelto una strada laterale che faceva delle periferie il bastione impenetrabile di uno scenario culturale tutto da progettare. Come rinunciare a questa avventura.
PARTY FOR YOUR RIGHT TO FIGHT
Poi per capire il novanta bisogna entrare anche nella dimensione della festa. Il movimento era un party continuo e ad Architettura la festa era nel mezzo di Villa Borghese di Valle Giulia. Insomma era un continuo andare e venire di gente di musica. Non c’era tempo per dormire per ragionare sulle cose che si facevano, mentre si discuteva tantissimo in assemblee interminabili in cui il maggiore impegno era espellere i gruppetti legati alle strutture di partito comunisti socialisti e via dicendo. Questo della festa era un passo obbligato, la vera caratterizzazione dei novanta dove in tutte le forme possibili, dal rave all’attacco psichico, dalla performance al festival, la festa si riversava nel fatto politico, era la configurazione stessa della politica. Per questo il G8 di Genova fu duro, fu la fine della festa. A Roma comunque ogni sera durante la Pantera non c’era altro da fare che andare in qualche facoltà a dove sicuro c’era qualche festa.
LEAVE THIS OFF YOUR FU*KIN CHARTS
Torniamo ai Graforibelli assediati dai media in quei mesi insonni che, postindustriali e neo autistici, rifiutarono di partecipare a diverse comparsate televisive, a molti progetti strampalati e a diverse altre avventure narcisiste. Nonostante le affettuose previsioni dell’amato Vincino che vedeva una conquista graforibelle dello spazio della carta stampata (tutti i giornali ripubblicavano le vignette, dai vari canali televisivi a Repubblica chiunque voleva queste vignette e se non ce l’aveva beh, le copiava). I Grafi parteciparono alla fondazione di un giornale satirico il lunedì de la repubblica con Sparagna e Scozzari (Frigidaire, Il Male). Testata che Sparagna registrò e rivendette a la Repubblica quando il giornale decise di uscire appunto anche il lunedì. Fu preparato il falso del Satyricon, che era l’inserto di Repubblica di satira, senza calcolare che però il duo di editori decideva come pubblicare le cose senza discussioni o condivisioni. E quindi riscriveva cancellava squartava e ridisponeva come credeva le cose nel giornale, insomma quello che era pensato come un falso giornale satirico che criticava la satira addomesticata dal quotidiano, diventò una serie di vignette contro altri autori di satira, che non mancarono di vendicarsi visto il potere che avevano nel mondo di carta dove stavano loro. Fecero uscire un articolo su Cuore dove dicevano che i GRFREB erano dei venduti persone che miravano soltanto ad entrare nella satira per diventare ricchissimi lavorando con la satira. Ah-ah. Mentre i vari soldi del libro che avevamo fatto a fine occupazione (Grafotoribelli, Roma 1990, presto scomparso da ogni scaffale) erano stati diligentemente versati nella cassa processi senza tenere una lira, nemmeno per produzioni future. Il passo obbligato fu quello di tagliare ulteriormente i ponti con tutto il mondo dei media e passare alla clandestinità della comunicazione scegliendo murales graffiti autoproduzioni e installazioni con materiali di scarto come campo di lavoro. Ai tempi su queste cose non lavorava quasi nessuno e non erano certo al centro degli occhi dei media.
YO! BUM RUSH THE SHOW
Quindi sciogliemmo i Graforibelli e cominciammo con altre persone a farci chiamare Sciatto dal nome che avevamo pensato per una rivista che doveva essere all’opposto del patinato, brutale e costruttivista. Eravamo un gruppo diverso, solo alcuni dei GRFREB sopravvissero lì dentro. Facemmo una esplorazione delle periferie di Roma, documentando tutto con migliaia di foto. Individuando spazi e deserti della città, posti già occupati e da occupare. I luoghi in mutazione. Cosa che fu in seguito ripresa da altri ex-occupanti meno radicali e più pronti a renderla cibo per i media.
Ottobre novanta Sciatto debutta Praga e aggiunge il vezzeggiativo produzie al nome. Dopo il 1989, dopo che era venuto giù il Muro a morsi Praga era una città aperta in una primavera che a ottobre era ancora fresca. Matite della koh-i-noor ovunque pezzi di divise russe macchine fotografiche vinili venduti in ogni sottopasso una rivista eccezionale Vokno che sembrava Decoder prima di Decoder. Sciatto prende un tram e lo modifica dipingendolo di bianco e facendo una installazione gore gocciolante sangue all’interno. Christo lo vede e lo apprezza. Sciatto vestiva tute rosse da operaio – molto socialismo reale – prese al supermercato. Praga è uno snodo sensazionale per artisti dall’Est dall’Ovest, festival, concerti pogo e ubriacature ai piedi del monumento a Stalin demolito a picconate, scuola di graffiti grazie a una crew francese che spiega come fare i tappi per scrivere grosso, come tenere la bomboletta e come passarla senza scolare vernice (ai tempi era un errore grave). Lì Bifo passa e si interessa alla nostra installazioni di chassis-di-macchina/crocifisso. Si dipingeva si facevano risse e installazioni. A volte le tre cose insieme.
SHOW ‘EM WHATCHA GOT
Quello della Pantera é stato un movimento che ha abbandonato immediatamente l’università dove la battaglia era persa in partenza e si riversa nelle città, nei territori dove trova degli spazi che la generazione precedente sul finire degli anni ottanta aveva preparato per questo, per spezzare la gabbia della periferia che non produceva offerta culturale per le generazioni più giovani. Quindi tutto il movimento, tutta la parte di progettisti di immaginari che dentro il movimento si era riunita, si rovescia in questo campo sconfinato che erano i centri sociali. Luoghi che avevano fino ad allora ospitato iniziative legate all’atmosfera del punk ottanta, con concerti cineforum soprattutto. La rivoluzione di questo movimento ha portato teatro videomaking arti plastiche arti visuali e fumetto all’interno dei centri sociali con una irruenza mai vista, affermando il senso della TAZ, le zone temporaneamente autonome, un concetto che allora emergeva e che trasforma le situazioni con lo strumento dei festival e poi con tutta l’epopea dei rave illegali e tutti gli altri tipi nuovi di occupazioni temporanee che servivano a creare delle feste, momenti di liberazione con un enorme portato politico. Sciatto metteva a fuoco un pensiero radicale e critico dell’architettura, considerando la scelta di porsi tra gli antagonisti, tra quelli che lottavano per una differenza di scelte di stile e di forma di vita, come dato interno all’elaborazione di un pensiero artistico e disciplinare. Per Sciatto i territori da utilizzare furono diversi, come scala e come funzione, anche se certamente lo snodo più persistente, ampio e pieno di risorse è stato il CSOA Forte Prenestino. É li che si organizza il primo Festival dell’Arte nel 1991, un lavoro enorme di raccordo di un network di artisti che apparteneva alle reti umane dei vari organizzatori. Contemporaneamente si rese possibile la predisposizione di uno spazio, quello dei sotterranei del Forte, che fino a quel momento, a parte lo spazio centrale che chiamavano la cattedrale in cui stavano nascendo posse e sound system, era rimasto completamente abbandonato dal dopoguerra. È nello spazio delle celle che ancora oggi ha luogo Crack!, il festival che eredita quello spirito e offre da quindici edizioni almeno una vastissima esposizione auto-organizzata di arte psichedelica e fumetto underground, opere stampate autoprodotte da ogni parte del pianeta.
WHAT KIND OF POWER WE GOT?
L’esperienza di Praga viene disegnata e raccontata per una rivista romana che non riuscirà mai a pubblicarla, immagini che verranno poi trafugate dal direttore di un’altra rivista con cui invece in quei tempi cominciammo a lavorare, Deriveapprodi. E nel frattempo Sciatto lavorava a fumetti distopici che non venivano pubblicati e neanche autopubblicati, a fanzine di technomostruosità devianti con il maestro insuperato del pop underground italiano Gianluca Lerici aka Bad Trip, fino a una rivista monografica da libreria, Pulp Comix, che narrava storie di periferie urbane trafficate dai mille personaggi che si potevano incontrare continuamente negli spostamenti e nei progetti cui si stava lavorando. Sciatto era in redazione di Per Terra, foglio gigante di letteratura emergente anche disegnata. Collaboravamo con Costa&Nolan e Castelvecchi. C’era continuamente qualcosa da fare in uno dei disparati ambiti che si continuavano a percorrere e mescolare. Altri festival e progetti, installazioni e fumetti, architettura scenografia teatro. Il Gioco del Drago/Un’Estate Fuori dal Comune è stato un punto fondamentale nel processo di festa politica che si percorreva: fu coordinata anche grazie al lavoro del nostro gruppo tutta la programmazione estiva dei centri sociali, con cortei spettacolari (i Mutoid con idranti lanciafiamme a tenere a distanza gli uomini in divisa). Il libro Culture del conflitto (1996) tenne poi molto conto di questo percorso. Prima che la discussione sulla proposta di delibera comunale che avrebbe assegnato alcuni spazi e portato al rilascio di altri, diventasse il punto dividente per il compatto ma variegato mosaico di occupazioni romane. Oggi quando vedo ancora qualcuno indossare ogni tanto una delle magliette che disegnammo allora, penso che erano fatte bene, credo.
Anche nei murali stavamo sperimentando un modo di raccontare, pensandoli come delle grandi vignette. Abbandonando le bombolette per acrilici e pennelli. L’ultimo fu il grande scenario urbano che squarciava via dei Volsci a San Lorenzo, un pezzo che non è stato mai crossato, per toglierlo demolirono l’intonaco. Partecipai allo speciale musica di Deriveapprodi con una storia su rave e assalti psichici firmando Luther Blisset. E da lì lo speciale BlueDerive, una sperimentazione che faceva collidere mondi editoriali diversi e che prendeva la discussione sul corpo e sulla sessualità come punto di ripartenza per scrivere storie. Era un lavoro che puntava lo sguardo dove ancora non c’erano occhi e non venne compreso sul momento ma contribuì in qualche modo ad aprire un discorso sul queer che poi avrebbe preso una centralità diversa nelle forme di vita e di festa. Ma intanto si cominciava a raccontare storie minimali fatte di tensioni di spazi dilatati che creavano mutazioni e visioni. Dove la musica risuonava sempre forte. A metà degli anni novanta avevamo in pugno i nostri desideri, il fumetto non era più solo quello dei Pazienza e Tamburini che non avevano superato gli anni ottanta: c’era una rete di produzioni indipendenti in ogni campo, anche nel fumetto. Al forte ospitavamo di tanto in tanto eventi di fumetto underground, in collaborazione con Marco Teatro, Miguel Angel Martin e Bad Trip e la Topolin Edizioni, pluricensurata. Una di queste volte esponemmo anche la mostra truffa al sistema dell’arte su Darko Maver, che è una storia a sé.
TEACH THE BOURGEOIS, AND ROCK THE BOULEVARD
In realtà il punto centrale di questo sviluppo era che molto cominciava a passare nelle connessioni virtuali attraverso una rete di mail di prima generazione, noi eravamo in Isole della Rete, European Counter Network, partecipando costantemente alle riunioni sul digitale radicale con AvANa bbs e le sue successive trasformazioni. I nuovi media che in quel periodo erano al centro di una serie di sperimentazioni, e oggetto di lunghissime riflessioni su come trasferire esperienze reali in un campo relazionale intenso e pieno di pieghe fatto di bit. Un ragionamento che porterebbe molto lontano ma sicuramente idee macchiniche etica hacker tekno e corpi senz’organi sono parte integrante di tutto quel processo che permette ai nostri corpi di accogliere diversità e costruire identità transitorie e mutevoli. Altro tema forte di tutti i novanta quello dell’invisibilità presente, operante che l’avatar era in grado di catalizzare concettualmente. Riflessioni che avrebbero portato al primo hackmeeting di Firenze, quello dove per diventare hacker ti facevano imparare ad aprire lucchetti di biciclette. Anche tutto il fenomeno della Net.Art, che era il duepuntozero della mail art ma anche una cosa imprendibile che creava movimenti e reazioni a catena, era estremamente attraente per le ricadute grafiche che provocava. Io ricordo che animavo pixel giganti a quei tempi o meglio erano animazioni microscopiche poi ricampionate. Ricordo la partecipazione alla Toywar degli Etoy e la vicenda della Rete Civica Romana, assalti di pixel e armate di artisti che bazzicavano hackers e lottavano contro la censura. Ma qui siamo già sul declino dei novanta. Quando il countdown del bug del millennio era già iniziato.
FIGHT THE POWER
La repressione feroce e le torture avvenute nel corso delle manifestazioni contro il G8 erano pianificate per ottenere la distruzione di tutti i processi collettivi trasversali che questo lavoro culturale e politico che connetteva linguaggi diversi intrecciandoli inestricabilmente. Un fiume in piena. Furono vignette sul G8 l’unica altra apparizione dei Graforibelli. Il Forte attacchina sul percorso del primo corteo cittadino un mio disegno gigante con Carlo e il sangue nero intorno alla testa. Tutto quello che si è provato a Genova toglie la parola. Crack!, il festival di fumetti e grafica del Forte Prenestino CSOA che inizia poco dopo il suo corso ereditando questa complessità, è solo il suono di uno sparo nel deserto. Un crepitio preso dagli Scorpioni di Hugo Pratt o forse emerso dalla memoria di una rivista di movimento degli anni novanta. Finora questo festival ha significato un immenso investimento di network e di propagazione culturale con la creazione di un mondo innumerabile di visioni del presente, attraverso la revisione teorica delle pratiche di autoproduzione. Ma resta un rumore non una parola, che riapre il discorso attraverso le immagini, cercando nei disegni ancora una volta uno spazio immaginario che non sia possibile delimitare e arrestare. Ma anche, ancora una volta, uno spazio vuoto da attraversare “facendolo a partire da un certo denudamento, un certo distacco, nella posizione di chi non ha niente da perdere, per aver rinunciato fin dall’inizio a possedere qualcosa di suo o anche per aver perso tutto o quasi tutto” (Achille Mbembe). Che poi non aver niente da perdere, lo sai, ti rende invincibile.