VOGLIO VENIRE MOSSO
di Valerio Bindi
Testo rilasciato in CREATIVE COMMONS [BY SA] e liberamente scaricabile. Ogni donazione all’associazione La Bagarre con cui organizzo molteplici attività è benvenuta.
“Bisogna spiazzarli. Quello è il segreto. Ti devi muovere veloce.
Se ti muovi rapido non vieni nelle foto. Vieni mosso e loro non le possono pubblicare.”
Sud – Gabriele Salvatores 1993
A Roma è un bel pomeriggio quello del 3 Ottobre. Ottobre ora 2015. Ci vado al tunnel di piazza della Radio per la jam di Crash Kid. Mio figlio in spalla. Si sente l’odore delle bombole già da fuori. Il verde menta. Il rosso rubino che ti entrava nei polmoni e ti si spalmava nel naso. Le mani sporche di tutti quei colori tutti insieme. Vero che i ricordi passano negli odori prima di tutto. Deve esserci un indice, una directory degli odori nel cervello e da lì si accede a tutto. I tappetti che li dovevi preparare prima, tagliarli a croce per fare i fat cap. O magari qualcuno te ne regalava uno vero. Che poi dovevi conservare gelosamente. I tappetti erano preziosi. A me il primo me lo hanno regalato a Praga. Ottobre 1990.
Anno prezioso il novanta per raccontare questa storia. La Pantera. Quella delle Black Panthers. Con la coda girata però. Insomma il Movimento del novanta. Visionari. Giovani generosi come cantava Onda Rossa Posse. In quel movimento avevamo fatto un gruppo che disegnava a raffica. Segno grosso chiaro. I Graforibelli. Una sera alcuni di noi ubriachi avevano cominciato a dipingere murali a Lettere occupata. Si rischiò la rissa mi ricordo. Il movimento aveva vietato all’inizio di dipingere nelle facoltà occupate. Si pensava che passando per bravi ragazzi ci avrebbero preso più sul serio. Ma bravi ragazzi non eravamo e da lì tutti hanno dipinto quei muri. Noi ad Architettura riempimmo tutto. Non vedevamo l’ora. Avevamo visto durante i cortei queste ragazzette, le 00199, fare cose spettacolari sui muri lungo il percorso. La cosa ci piaceva anche se noi non eravamo parte della scena.
Io Crash Kid non lo conoscevo. Noi eravamo dietro alle storie di Rammelzee, il visionario del Bronx. Quello del panzerismo iconoclasta. Un graffittaro nero e che andava poco in giro ma che aveva idee strabilianti. Diceva che i writer liberavano il potere mistico delle lettere dalle strutture della standardizzazione alfabetica moderna. Io stavo studiando le moschee nordafricane e mi sembrava l’unione perfetta di quella straordinaria tradizione calligrafica con il cyberpunk. Il Gothic Futurism lo chiamava. E fino ad allora, fino a quella sera a Lettere, i nostri disegni erano rimasti su carta non erano sui muri. La vernice che cola sui muri è un’altra cosa. Poi quel gruppo lo facemmo fuori. Lo distruggemmo perché i media ci stavano alle calcagna. E noi non volevamo venire in foto. Sempre mossi volevamo essere.
E allora facemmo un altro gruppo. Una Posse. Una banda insomma. Si chiamava SCIATTO tutto maiuscolo e poi arrivati a Praga ci aggiungemmo produzie e comprammo delle tutine rosse, molto socialismo reale, al supermercato. Per noi Praga è stata la prima strada con l’energia di quei giorni ci abbiamo fatto tutti gli anni novanta di corsa in un soffio. Era stato buttato giù il muro a Berlino e tutti i graffiti che c’erano sopra. La gente ne aveva dei pezzi se lo portava via a pezzi a morsi quel muro tutto graffittato.
A Praga c’era festa permanente nell’Ottobre novanta. 1990. Uno snodo sensazionale. Arrivavano artisti dall’Est dall’Ovest i festival si susseguivano. Concerti risse ubriacature ai piedi del monumento a Stalin demolito a picconate. Erano due in contemporanea gli spazi d’azione: il festival Totalitna Zona, la mostra di Arte Organica nella Zona Totalitaria, fatto dalla Fondazione Linhart e sostenuto dal presidente Vaclav Havel in persona e il festival People to People organizzato dagli europei. Noi eravamo partiti per fare una installazione. Lì conosciamo questa crew di francesi, gli Elastiques o qualcosa del genere. Super skill con le bombole. E con loro abbiamo fatto la nostra scuola ci facevano vedere come fare i tappi come tenere la bombola in mano come passarla senza scolare vernice. Tutta la scuola insomma. E ci avevano dato un tram un vero tram di linea da dipingere. Dipingevamo e facevamo risse e installazioni. A volte le tre cose insieme. Una sera ci siamo lanciati secchi di vernice addosso alla fine. E non ci volevano far tornare coi mezzi pubblici a casa.
Quando siamo rientrati era tutto diverso. Come tutti quelli che avevano fatto il movimento e che volevano continuare a fare cose ci siamo lanciati nella storia dei centri sociali. E abbiamo cominciato ad organizzare festival a fare graffiti nelle periferie. Ma noi non eravamo bravi con le lettere. Noi sapevamo fare solo le capital. Che non erano tanto apprezzate. Noi facevamo puppet. Enormi pupazzi accanto alle scritte. Sempre ispirati da graffittari francesi (che sono rimasti la nostra scuola) e lo avevamo visto e a Berlino anche. E poi li sapevamo fare i pupazzi. Venivamo dal fumetto. E infatti mentre facevamo graffiti facevamo anche i primi fumetti rap. Arma di Strada era la prima storia. E c’eravamo noi disegnati dentro con i nostri muri e i nostri graffiti. Pubblicata rigorosamente in fotocopia. Cioè ora direi inedita praticamente. Con Rob Grossi e Andy War l’abbiamo disegnata e Nik J ci faceva i testi delle canzoni della colonna sonora. Credo sia il primo fumetto sulla scena in Italia. Avevamo anche inciso un pezzo o forse due. Le basi le avevano fatte loro dei NPL, Nuovo Partito Luddista. E avevamo fatto un video contro la guerra. La Guerra del Golfo. La prima guerra fatta a suon di media. Prima ancora dei Balcani. E andavamo spesso a preparare cose per i nostri progetti al Rosa Luxemburg unico frammento dell’Università ancora occupato nel 1991. Là spesso ci si incontrava fianco a fianco con gli Assalti Frontali e gli altri che venivano lì a provare Baghdad 1.9.9.1.
Le 00199 andavano sempre più forte e spesso ci si incontrava a fare cose insieme. Al Forte al Break Out ad Auro e Marco. Era sempre una cosa bella quella di vederle lavorare. Energia infinita e colori sparati.
Ma era il FortePrenestino la nostra base lì ci stava Costa e Franchino sempre sorridente e poi Misha e Bol che lavoravano da professionisti con l’aerografo e il compressore e insomma quello diventava il primo posto dove dipingere preparare storie ma anche liberare spazi. Lì portammo quegli artisti che avevamo conosciuto in giro per l’Europa nel primo Festival dell’Arte che facemmo nel 1991. E si cominciarono ad usare per questo genere di cose i sotterranei quelli che ancora oggi ospitano ogni anno gli artisti che partecipano a Crack!.
Abbiamo disegnato molti pezzi al Forte in quegli anni. Ma non volevamo mai che si conservassero. Eravamo contenti di vederli sparire sotto i segni di quelli che arrivavano dopo. Quando gli Assalti misero su con la Cordata Musica Forte, la sala di incisione autogestita, mi ricordo che presero questo grande mixer analogico che dopo un po’ fu abbandonato e ci si facevano i bracciali le collane con tutti quei tasti. Era il 1995 e noi facevamo questo primo albetto che era a metà tra autoproduzione ed editoria. Pulp si chiamava. E lì c’erano ancora i personaggi nostri che facevano graffiti dietro allo scalo di san Lorenzo e facevano surf sul trenino urbano. Quello è stato anche l’anno del Gioco del Drago. Il Festival dei Centri Sociali romani, l’Estate fuori dal Comune.